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CHIUSO PER SEMPRE
 
Dopo due anni (e qualche giorno) ho preso la decisione di smettere l’aggiornamento di questo blog. Non smetterò di scrivere e nemmeno di sperimentare e sfogare quella che io definisco "la mia arte", sia essa una canzone, una poesia, un pensiero, una fotografia o una sega mentale.
Non sarà più questa però la piattaforma dove tutto ciò accadrà.
Chiunque in questi due anni ha seguito con interesse ciò che ho citato sopra mi cerchi ed in qualche modo mi troverà, per tutti gli altri l’augurio un giorno di ritrovarsi (magari in altri contesti).
Approfitto delll’occasione per ringraziare chiunque mi ha scritto una o più volte per esprimere i propri complimenti o scambiare un parere con me.
Questo Blog ha rappresentato per me -davvero- un pezzo di vita, è stato il tempio del mio sfogo personale ed artistico, ed è sicuramente una modesta testimonianza dei tantissimi cambiamenti avvenuti da quel marzo 2007, un mese che ora sembra davvero appartenere ad un’altra vita.
 
Concludo ripubblicando ciò che scrissi per inaugurare questo Blog:

 
11 marzo 2007

Sono tre anni che aspetto…

di poter dire al mondo quello che penso, quello che sento, quello che sono. E questo blog non servirà certo a facilitarmi le cose, anzi forse me l complicherà.
Scrivo ormai da anni una sorta di diario o, per chiamarlo nel linguaggio internettiano un blog, ma solo per me stesso. Non ho mai avuto il desiderio di renderlo pubblico, anche perchè nonostante il mio innato esibizionismo (ma ce l’ho davvero?!) mi sono sempre chiesto a chi diavolo potesse interessare della mia vita. Ma evidentemente la sindrome Grande Fratello (o chissà che altro…) ha contagiato tutti.
 
Peccato, non sono disposto a mettere il 100 % della mia vita su questo blog. D’altronde ho un cervello, un cuore, un’ anima e qualcosa per me voglio pure tenermela. Nonostante ciò, farò il possibile per immergermi fino al collo dentro questo sfondo arancione e, chissà, magari un giorno raggiungere il 99,9% di me stesso.
 
Questo è un happening…
 
 

Direi che la percentuale è stata decisamente raggiunta!

E’ capitato di sognarti qualche volta, ma sempre in sogni dimenticabili, ambigui, spaventosi, angoscianti, brutti.

Questa notte però ho sognato di abbracciarti forte, di riempirti di baci; ho sognato di trasmetterti tutto quel bene che hai meritato, di ricambiarti tutto quel bene che ci hai regalato. Ti ho sognato sorridere, insieme a tutti noi.

E stamattina, in una domenica di cielo azzurro e limpido, è stato bello aprire la finestra e sentire il cucù che cantava "ro-bert-to, ro-ber-to, ro-ber-to".

Mi manchi tanto e sei sempre nei miei pensieri!

Respiro esausto questo odore di fumo. I fantasmi del passato, mai del tutto scacciati, tornano a farmi compagnia. L’unica compagnia di questa serata, passata a tendere agguati alla malinconia, o ad illudermi di un arrivo che non si è mai verificato (perché?).

Spesso passi gli anni a coltivare, a dare l’acqua sperando che la pianta cresca. Poi ti accorgi improvvisamente che da quella cura sono nate foglie verdissime, di un verde raffinato ed elegante, quasi magico per quanto luminoso e fresco. Quelle foglie sono però destinate a cadere, una ad una, senza alcun tipo di differente possibilità.
O accetti la caduta, o accetti la caduta. O seghi la pianta, ma con quale coraggio?

Arrivi ad un certo punto che le foglie sono cadute tutte. Formano ormai una sorta di seconda pavimentazione della casa in cui vivi. Le calpesti certo, ma rimangono li. Sono prima gialle, poi secche, ma non se ne vanno.
Spesso tira il vento, magari ne porta via qualcuna, ma non esiste vento che riesca a trasportarle via lontano.
Poi trovi il coraggio, cominci ad interessarti all’acquisto di una scopa, la riponi nel ripostiglio perché ancora non trovi la forza fisica di pulire tutto. E forse quella forza non la vuoi nemmeno trovare: preferisci sederti, aspettare ancora, sperare magari in una nuova forza del vento, oppure vuoi solo continuare a contemplare quel manto di foglie, sperando che per magia torni ad essere verde e ad occupare i rami della pianta ormai spoglia.
La contemplazione continua per mesi e mesi, senza fine, notte e giorno, mentre mangi e mentre fumi, mentre ascolti musica e mentre apparentemente dormi.
Pare non esserci fine al calvario. Pare, perché prima o poi quella fine arriva.

Quando arriva ti senti stremato, ormai privo di ogni volontà di vivere, e non puoi fare altro che liberarti di quelle foglie se non vuoi che esse diventino lo strato che coprirà il tuo corpo.
E così a fatica cominci a scopare, a buttarle fuori casa, a liberarti di quelli che ormai sono solo dei detriti. Ci metti giorni a fare tutto per bene, cerchi di liberarti di ogni piccolo pezzo caduto da quel meraviglioso albero.
Finisci il lavoro e ti ritrovi un terreno pulito… qualcosa al quale è difficile ad abituarsi.

Però ti rendi conto che l’aria è più pulita, respirabile, che finalmente puoi percepire con la pianta del piede un terreno liscio, fresco, pulito, luminoso.

Poi però arriva di nuovo il vento e, disgraziato, recupera quelle foglie che erano uscite dal tuo mondo e ne trasporta qualcuna di nuovo nelle tue vicinanze, te ne fa calpestare ancora una, oppure due. Quel vento non si sa perché le riporta… forse perché vuole farti rendere conto che tutto deve essere fatto sotto le nuvole e non sopra; forse perché sei tu stesso che quelle foglie le desideri o non sei capace di difenderti dal loro ritorno.

Se prima o poi con il vento tornano, esse spaventano ogni secondo della vita.

Tutti dicono che sono un pensante

Un sognatore

Faccio quello che mi pare

Senza ascoltare il parere

Di chi mi vuole bene

Tutti dicono che amo gettare all’aria il mio futuro

Respirare senza agire

Recitare ad esser duro

E poi lacrime e non reagire

Tutti dicono che mi amano

O che vorrebbero amarmi

Ma alla fine ciò che vogliono

E’ solo potere possedermi

Tutti dicono che siamo stati uguali in passato

E che adesso siamo cresciuti con idee che ci hanno armato

Di potenza, di corazze dure e forti che ci proteggono

Ma alla fine se ci amano esse poi si sciolgono

Anche oggi io mi sento un po’ più debole

Perché ho meno certezze ma solo tegole

Che si scoprono, che volano leggere

E non riescono a reagire quando ci sono le maree

 

Avvicinati a me

Lasciami respirare ma non lasciarmi andare

Sorreggi il mio destino

Ascolta il mio lamento

Non darmi mai tormento

Ma stammi più vicino

Sempre più vicino

 

Tutti dicono che sono un egoista perché penso solo a me stesso

Oggi sono stato a casa tutto il giorno a fare sesso

Non ci penso se la vita poi mi porterà via tutto

Perché solo ora, solo io, solo adesso me ne sto rendendo conto

Che ogni stabile certezza è soltanto una bugia

Che mi illude che la vita, almeno questa, posso dire che è la mia

 

Tutti dicono che vivo a caccia di desideri

Che mi sveglio alla mattina già stracolmo di pensieri

Ma non posso farne a meno la mia testa ama viaggiare

Altrimenti se potessi rinuncerei ad amare

Cosa serve poi concedersi se ti fai solo male

Se non riesci a dormire se l’amore inizia a farti tremare

 

Avvicinati a me

Lasciami respirare ma non lasciarmi andare

Sorreggi il mio destino

Ascolta il mio lamento

Non darmi mai tormento

Ma stammi più vicino

Sempre più vicino

 

Tutti dicono che siamo fatti per costruire

Per cantare

Per amare

Per scopare

Per viaggiare

Per vedere

Per parlare

Per sapere

Per rubare

Per marciare

Prima di morire

 

[Marco Bidone, 20 gennaio 2009]

Bene. Ora che tutti hanno espresso i loro urlanti pareri; ora che tutti hanno sceso le loro commoventi lacrime; ora che tutti hanno elargito preziosi consigli, senza che nessuno di loro capisse affondo ciò che fatico anch’io a comprendere, bene.. ora che tutto ciò è accaduto, io mi ritiro in un silenzio stampa tombale.

Devo decidere, Io.

La biro fatica a scrivere. Anzi, mi correggo: la mia mano fa fatica. Non c’è più l’abitudine della carta e della penna.
Però oggi, in questo treno diretto a Milano, capisco che è arrivato il momento di calare il sipario.
Aspettative e speranze verranno deluse e so che in molti non condivideranno. Anche io, nel mio più profondo pensare, non so a cosa andrò incontro.
Ho deciso: lascio l’università.
Si: quel posto che ho rincorso, desiderato, sognato è diventato con il tempo il luogo della non libertà.
Il nostro caro sistema è organizzato su un complesso meccanismo economico che chiude le ali. Sono loro, quei pezzi di carta che fungono da sponsor di monumenti, a chiuderle. Ed io non posso e non voglio. Io, ora, non resisto più.
Non si tratta solo di quello, certo.
Quando ho cominciato l’esperienza universitaria credevo di conoscermi molto bene. Già mi immaginavo su un bel libro di "Linguaggi del cinema e della TV", con la mia presunta curiosità, a sottolineare e studiare per un esame.
Un esame che, grazie alla passione (alla quale ho dato molta fiducia) avrei ovviamente superato.
Ricordo il giorno dell’immatricolazione, uno dei pochi eventi mai condivisi con papà: il mio sorriso non nascondeva quella mia profonda soddisfazione per essermi iscritto. Cazzo: ero alla IULM!! Ancor più indietro nel tempo, l’Open Day dello scorso aprile 2008 ("questa sarà la mia università!", dicevo entusiasta a Bicio); per non parlere poi dell’estate di fuoriosi litigi con mia mamma che non era molto convinta (aveva ragione?).
Poi è arrivato il momento di esserci per davvero in quell’università.

Ma ero io, purtroppo, a non esserci.
In quel periodo morì il nonno. Mi rendo conto che è una banalità, un luogo comune, ma mai come in quelle settimane mi sono fatto mille domande su quello che è il senso di tutto il nostro percorso di vita.
Le mie visite al cimitero a qualunque ora del giorno e della notte (spesso tenute segrete) non erano altro che una disperata ricerca di aiuto a colui che per me fino al 23 settembre era stato il simbolo del coraggio, della saggezza, della Vita.
Poi arrivò la seconda batosta: un innamoramento, un incredibile desiderio di amore, da non pensare ad altro.
Solo io (e ripeto: SOLO IO) posso sapere quanto disperata sofferenza mi ha provocato quel sentimento (" a cosa serve l’amore se ti spezza il cuore, se fa solo male, se ti fa impazzire dal dolore?").
Solo io so quanto quel desiderio mi ha percosso anima e corpo non permettendomi più di vivere. Il suo rifiuto, il suo "NO": è da li che lo sbandamento ha avuto il suo picco in negativo.
Non mi sono più ripreso e solo ora sto faticosamente ricostruendo una forza "mia", personale, per poter archiviare una volta per tutte quel bellissimo sentimento.

Ora sarei bugiardo se dicessi che è solo colpa di quello che è accaduto e di cui ho appena scritto.
Le mie colpe me le prendo tutte, ma forse per orgoglio non mi va di elencarle.
Adesso che cala il sipario sono qui a chiedermi se sto facendo la scelta giusta… ma se ricordo la mia totale convinzione nell’andare all’università e i risultati successivamente ottenuti, la cosa dovrebbe preoccuparmi meno.
Ripeto: ci saranno tante persone deluse, me ne rendo conto. Un po’ lo sono anch’io di me stesso. Però poi, quasi a giustificarmi, penso che in qualche modo è una scelta responsabile.
Non dovrò lasciare nulla al caso (quello con la "c" minuscola): dovrò lavorare, ed il lavoro è una cosa seria. E poi, simpaticamente parlando, avrò anchemodo di rivalutare il mio snobbatissimo diploma.
Lavoro per investire su me stesso, perchè in fondo una cosa non esclude l’altra. E, giusto per lasciare un barlume di speranza, non è detto che in futuro (AUTOGESTENDOMI) non possa riprendere il percorso di studi.

Con i dovuti e veloci ringraziamenti: a Franci perchè è stata la prima conoscenza in quel della IULM, per la sua simpatia, ironia, disponibilità; a Barbara percè di Babi -nel bene o nel male- ce n’è una sola (devi imparare a cantare!!); a Chiara e Michela per le piacevoli chiaccherate.

A ringraziamenti fatti può calare il sipario… proprio come in un vero spettacolo. Ma alla fine la vita che cos’è se non una drammatica rappresentazione?

P.S. ORA POTETE ANDARVENE!! NON C’E’ PIU’ NIENTE DA VEDERE!!!!

Milano, 16 febbraio 2009.

Oggi il cielo aveva una porta sola, o forse erano due, ma solo una era aperta. Ho preso il sole, oggi raggiante e caldo come non si vedeva da settimane se non mesi, assumendomi ogni responsabilità per la mia più completa infatuazione per la storia di Chicco e Lele.

Ho respirato l’aria dei quartieri malfamati, dove i ragazzi giocano a palla per strada e parlano dell’ultima scazzottata; dove nei passaggi sotterranei c’è la cacca di qualche uomo o donna probabilmente senza un bagno (o senza ritegno); dove il sesso, il mio, ha goduto per l’averti sfiorato ed ho provato un senso di compiacimento presto svanito quando ho capito chi eri.

Non ci sono storie che tengano: le mie stelle non brillano, anche se l’oroscopo ultimamente è dalla mia. Continuo ad aprire solo quella porta, quella che non dovrei aprire. Voglio anch’io “la mia Bologna”, voglio anch’io l’altra ala con la quale poter volare. Ma non deve essere la stessa ala di L., deve essere di una persona che sia pronta a rischiare con me.

Ho iniziato la giornata chiedendomi, tra il frastuono di una metropolitana affollata, se troverò mai il mio angelo da un’ala soltanto.

Forse è per quello che osservo gli angoli più nascosti della metropoli, in cerca di una piuma che possa almeno farmi capire che nelle vicinanze, forse, c’è un angelo.

Sono alla ricerca di affetto – non lo nego. Sono alla ricerca di me stesso – altrettanto innegabile.

Si, c’è qualcosa che non va, ed ora non possono esserci scuse. Il motivo deve essere trovato solo e soltanto dentro di me.

Mi sento demotivato e non convinto, complice di menzogne non volute ma alle quali è impossibile – ora – fare a meno.

Ricordo perfettamente un’altra svolta, tantissimo tempo fa, e il malo modo in cui la affrontai. Come trovare il coraggio per ammettere che ci sto ricascando, ed è come se nessuno (ne io, ne chi mi vuole bene, ne la musica) possa aiutarmi ad uscirne?

 

Sento ardere dentro di me questa immensa Voglia, e passo i minuti a sperare che il Caso possa si, almeno lui, regalarmi un angelo, un gioiello, una pietra preziosa.

Non posso non ricordare di averne già qualcuna. Evidentemente ora come ora non mi è più abbastanza. E se quelle che ho sono di inestimabile valore, quella che cerco deve esserlo ancora di più, magari rara, addirittura unica, ma spero non introvabile.

Il mio cuore ultimamente batte in modo strano: potrebbe essere un bene se questa espressione la usassi metaforicamente per fare capire che il peggio sta passando, che più andiamo avanti e più quel “NO” mi lacera meno, che le ferite si stanno pian piano rimarginando.

Ma purtroppo non è una metafora: quando stremato oppure non assonnato mi adagio nel mio letto posso sentire bene il battito del mio cuore, dato che dormo a pancia in giù. Ed è un battito irregolare, è come se qualvolta facesse dei sospiri, si prendesse delle pause. E ripeto… non sono metafore.

Fumo molto, forse troppo, e spesso lo faccio controvoglia. Fumo al mattino quando mi sveglio, fumo prima di prendere il treno quando lo prendo, fumo quando scendo dal treno, fumo la notte, prima di andare a dormire (“questa è l’ultima”) ma poi mi corico e mi viene ancora voglia.

Che c’entrano le mie frequentazioni dal tabacchino non lo so sinceramente, ma se l’ho scritto un motivo ci deve pur essere.

 

Probabilmente, tra poco, non so quando, il coraggio tornerà da me, e sarà li, in quel momento, che prenderò una decisione.

Molto di ciò che faccio è forzato ed è ora di cambiare: che sia io un sognatore, oppure che siano delle rimanenze della mia complessa e tormentata adolescenza non lo so. Ma se qui dentro di me, nel cuore o nella testa che sia, c’è questa volontà, essa dovrà essere attuata.

Vorrei solo che qualcuno la attuasse con me.

 

Torno a casa, tolgo i vestiti di scena, mi adagio nel mio enorme maglione di lana.

Non vedevo l’ora di scrivere.

Riecheggiano i ricordi. Mi spaventa ciò che verrà. E’ la prima volta in tanti anni in cui mi sento tagliato fuori, immeritatamente, senza possibilità di spazi, idee, parole, momenti, litigate o risate.
E’ la prima volta in cui sono seriamente preoccupato, perchè sento che tutta la condivisione che c’era prima è andata a puttane, perchè mi chiedo dove è finita la voglia di raccontarsi tutto, e soprattutto perchè e a causa di chi è svanita.

Sono passati tanti giorni ormai, e sono pesanti come macigni i secondi che passano, e le notizie che arrivano da vie traverse.
Non riesco a non essere pesantemente preoccupato e profondamente deluso.
Non ho mai assunto questo tipo di atteggiamento se non per motivi importanti. Potrei pensare che l’importanza che si conferisce ad un determinato problema è soggettiva, ma non riesco ad accettarla come conclusione definitiva di una situazione surreale.
Ma soprattutto: in base a cosa si conferiscono le precedenze? Perchè una persona regala anima e corpo prima, e poi è messa sullo stesso piano di tante altre?

Non so ancora se pentirmi di ciò che ho scritto, o se pentirmi di ciò che ho fatto fino a due settimane fa. Non so ancora quali saranno le conclusioni.
Ma sono convinto di questo: che un pezzetto di questa storia è stato offuscato. Magari per il mio spiccato talento di esageratore, o magari per lo spiccato talento di qualcun altro (devo dire quale?).

Buonanotte ai sognatori, con l’augurio che il sogno, per qualcuno, diventi realtà.

C’era un giorno in cui mi accontentavo di fuggire dietro casa: il mio concetto di libertà era su scala molto piccola. C’era già però, è non è così comune per un bambinetto sentirsi ardere dentro la volontà di andare lontano.

Oggi non riesco più ad accontentarmi: è come se volessi esplorare e ributtare tutto in gioco, anche me stesso, quasi rischiando la mia stessa vita.

 

Ieri mattina ero a Milano per questioni universitarie, ma la volontà di andare oltre confine, di superare ogni tipo di barriera concettuale e ogni purezza, mi hanno portato ad attraversare un mondo affascinante, da me inesplorato e decisamente approfondibile.

Ho osservato e toccato con mano la povertà, la disperazione, la fame, le ubriacature di quei poveri barboni che cercano disperati un posto caldo in una freddissima stazione. Ma ciò di cui vado più fiero ed orgoglioso sono le due ore e mezza passate con un gruppo di extracomunitari tunisini. In particolare ho scambiato idee ed opinioni con Anil.

 

Trentuno anni (ma ne dimostra molti meno), fisico e volto da fotomodello, scappato dalla Tunisia a soli 16 anni, ha vissuto in Italia per altri 16 anni ma 5 di questi li ha passati in galera. Ha spacciato, ha fatto piccoli furti, ma non ha mai violentato, non ha mai picchiato, non si è mai drogato. Nel nostro paese ha preso il diploma di pizzaiolo ed ora (ma da poco) può permettersi uno stanzino senza riscaldamento e senza bagno funzionante nella periferia del capoluogo lombardo. Prima ha dormito al freddo, senza nulla per potersi scaldare a parte la birra (la stessa che abbiamo bevuto insieme durante la chiacchierata).

Mi ha parlato tanto di religione (“perché se siamo qui è solo grazie a Dio”), di politica (“se rubano loro, perché io non posso farlo?”), di amore (“sono stato cinque anni con una ragazza tossicodipendente, ho lavorato per pagarle le cure, le riabilitazioni e le ho regalato una vita dignitosa, poi mi ha lasciato perché i suoi genitori dicevano che ero ‘uno straniero’”), di pregiudizi (“se chiedo ad un italiano una sigaretta lui non me la darà mai, anche se ce l’ha”) e di altro tipo di pregiudizi (“perché i gay non vogliono essere chiamati ‘froci’? Tanto è la stessa cosa!”), di leggi (“al mio paese i froci li ammazzano, gli tagliano la testa, ed è giusto così, perché un gay è contro natura”), di nascita della Terra (“Adamo ed Eva li ha mandati qui Dio e se siamo qui è grazie a loro ed ai loro figli”), di guerre (“ricordati quello che ti dico: “presto scoppierà la terza guerra mondiale e sarà tra musulmani, Italia ed America”).

“Gli arabi sono forti, hanno ricchezze, non si abbassano”: per quello, lui dice, per Bush è stato impossibile risultare vincente e positivo nella bislacca scelta di invadere l’Iraq.

“Dov’erano le armi nucleari?” – si chiede – “e perché 3000 morti causa Bin Laden no ma 30000 civili iracheni si?”.

In alcuni casi mi sono ritrovato imbarazzato e incapace di difendere le scelte del mio paese e dell’occidente.

Nel momento in cui si lamenta per il poco lavoro decido di chiedergli perché non torna in Tunisia. La sua risposta è inaspettata: “perché quando sono venuto in Italia ho lasciato i miei genitori, i miei amici, i miei fratelli dicendo loro che qui sarei stato meglio. Io sono un uomo con le palle, piuttosto dormirò per il resto della mia vita in questo parco, ma non tornerò a chiedere pietà ai miei genitori”. Conclude parlando di sua mamma: “Tutti i giorni mi chiama e mi dice <<Io voglio vederti prima di morire>>, ma io non tornerò da lei finché non avrò messo da parte dei soldi con il lavoro”.

E se morirà presto, non la vedrai mai più? “Certo che la rivedrò, ma da qualche altra parte lassù”.

 

L’ho salutato dandogli la mano e augurandogli buona fortuna, come al resto del suo gruppo che è rimasto in disparte, ascoltando incuriosito. Ci sono tante altre cose di cui abbiamo parlato, ma al momento vorrei concentrarmi sul differente concetto di libertà che c’era tra me e lui: per lui la libertà era quella di poter lavorare, per me la libertà è poter uscire dai paletti, è poter esplorare. Tutte cose che lui ha DOVUTO fare, mentre io VORREI.

 

Ieri ho imparato ancora di più che c’è un mondo, la fuori, che è dominato dai pregiudizi. Che è dominato dalla non volontà di confrontare le nostre idee o, meglio, le nostre convinzioni.

 

C’è un mondo che Anil non ha paura di scoprire, perché lui partirebbe per un altro Stato europeo oggi stesso, “tanto so come funziona, so sopravvivere”.

Lo ammiro, e vorrei tanto fare come lui.